(103) Cazzata o Stronzata?
“Classifica SETTEMBRE 2017”
Ascoltare un Luigi Di Maio, il pupazzo animato della Casaleggio Associati, che dal fondo della sua inconsistenza discetta di lavoro, è come seguire le elucubrazioni di un Renzi che si sforza di parlare in inglese di “meritocrazia” e “competenza”; oppure (peggio ancora!) una Virginia Raggi che ciarla di efficienza e buona amministrazione, o un Carlo Sibilia che si occupa di “Cultura”, contro ogni sprezzo del ridicolo nella tragedia che sovrasta la farsa.
Prototipo realizzato del fancazzista professionista, inopportunamente miracolato proprio da quella ‘politica’ per professione tanto disprezzata a parole, Giggino ‘O Sarracino incarna fin troppo bene il modello prevalente dell’idiota in politica, che nei casi più riusciti può evolvere nel “cretino di successo”, quale ennesima variante di una imbecillitas ricorrente. Incoronato “capo politico” per successione dinastica, cliccato con un’elezione farsa tra comparse sconosciute a fare da contorno, nell’ambito delle
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L’ennesima bugia di Virginia Raggi
La sindaca di Roma, che rischia il processo per abuso d’ufficio e falso per le nomine di Romeo e Marra, è un’esperta dell’arte della menzogna. Ma il suo problema è che viene sistematicamente smascherata
di EMILIANO FITTIPALDI
L’Espresso – 20/06/2017
Il sindaco Virginia Raggi è una bugiarda. Non serviva il provvedimento di chiusura indagini della procura di Roma per sostenerlo, ma ora che il primo cittadino della Capitale si avvia verso un processo per falso, sarà più difficile per i suoi sostenitori difendere le arzigogolate e surreali dichiarazioni autoassolutorie della sindaca a Cinque Stelle.
La storia è nota, e riguarda la promozione di Renato Marra a capo del Dipartimento del Turismo avvenuta qualche mese fa. Una promozione avvenuta dopo l’inchiesta de L’Espresso che a settembre e ottobre svelò i rapporti corruttivi tra il braccio destro della sindaca, Raffaele Marra, e il costruttore Sergio Scarpellini.
Nonostante le inchieste giornalistiche e i dubbi crescenti di parte del Movimento ( Roberta Lombardi arrivò a definire Raffaele Marra «un virus che ha infettato il M5S», Virginia non solo decise di tenere vicino a sé il suo Rasputin, ma gli consegnò di fatto le chiavi del Campidoglio. Concedendogli carta bianca su strategie e nomine politiche. Fu Raffaele, infatti, a seguire le procedure per la promozione del fratello.
Dopo che l’Anac di Raffaele Cantone segnalò ufficialmente il rischio evidente del conflitto d’interessi, la Raggi per proteggere il suo consigliere spiegò ai dirigenti dell’anticorruzione che fu lei, e non Raffaele, a scegliere in piena autonomia lo scatto di carriera (e di stipendio) di Renato. Una balla sesquipedale, smentita in pochi giorni dalle conversazioni trovate dai pm di Roma nella chat tra Raggi e Marra su Telegram: «Raffaele, questa cosa dello stipendio mi mette in difficoltà, me lo dovevi dire». Virginia aveva infatti letto i dettagli dell’aumento sui giornali, notizie di cui era totalmente ignara. Il messaggio secondo i magistrati evidenzia in maniera inconfutabile che la Raggi ha mentito. All’anticorruzione, certo. E ai cittadini romani pure.
La sindaca è un’esperta dell’arte della bugia. Il suo problema, però, è che viene sistematicamente smascherata: se è ancora indagata per abuso d’ufficio per aver promosso e triplicato lo stipendio al re delle polizze Salvatore Romeo (ma è possibile che il capo d’imputazione venga archiviato), restano nella memoria bugie e omissioni surreali («Raffaele Marra arrestato? È solo uno dei 23 mila dipendenti del comune») e altre più gravi, come quelle sul passato nello studio di Cesare Previti, sulla presidenza di una società dell’ex segretaria di Franco Panzironi, e soprattutto sull’ex assessore all’Ambiente Paola Muraro. La Raggi, infatti, nonostante fosse venuta a conoscenza dell’indagine sull’esperta di rifiuti, per 50 giorni in varie interviste aveva negato di sapere nulla su eventuali procedimenti giudiziari.
Una mentitrice seriale, insomma.
Chissà se Beppe Grillo, per salvare la barca che affonda, deciderà di ritirare fuori il post del blog scritto a dicembre e mai pubblicato in cui cacciava Virginia dal M5S. Probabilmente sarebbe troppo tardi. La fiducia dei cittadini romani, in effetti, sembra definitivamente compromessa.
Articolo 21
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.»
(Art.21, comma 1-2, della Costituzione della Repubblica Italiana)
Oggi si celebra la “Giornata mondiale della libertà di stampa”. Un bene prezioso, almeno finché tale libertà viene esercitata a discrezione dei potenti, o degli aspiranti tali nelle loro pretese egemoniche, e che la stampa non disturbi troppo i manovratori in carriera…
Fintanto che la ‘stampa’, ed estensivamente i ‘media’, servono la ‘causa’ con compiacenti interviste in ginocchio, facendo da grancassa agli interminabili monologhi del leaderino di turno, senza che alcun contraddittorio o quesito indiscreto giunga a disturbare la narrazione fantastica; fintanto che l’intervistato fornisce domande e risposte dinanzi ad un microfono muto; fino a che il giornalismo da watchdog del potere si acconcerà a farne il cagnolino da…
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CIAONI AMARI
Si annunciano tempi duri per la “scrofa azzoppata”, oramai pronta per il giro arrosto e con lo spiedo infilato sapete bene dove, tanto deve bruciargli non la sconfitta, bensì la debacle senza precedenti che l’ha travolto insieme a tutti gli altri maiali della fattoria. Voleva un plebiscito ad personam che lo incoronasse imperatore di paglia in uno stato fantoccio asservito alle più rapaci oligarchie finanziarie del pianeta e svenduto agli interessi stranieri. Ha imperversato per mesi dispensando mance e promesse, nella più grande compravendita di voti di scambio dai tempi della congiura di Catilina. Ha barato, ingannato, falsificato, giocato sporco per tutta la partita pur di vincere. Ha mobilitato i suoi stalkers prezzolati in giro per l’Italia, schierato gli ausiliari di regime e mobilitato i balilla di partito, raschiando fino
all’ultimo coprolite della fogna di governo. Ha riesumato dalla tomba vecchi fossili democristiani e
padri ignobili della Repubblica, ai quali…
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L’ACCOZZAGLIA
L’OCSE; JP Morgan; Goldman Sachs; Morgan Stanley; Citigroup; Barclays Bank; Credit Suisse; Deutsche Bank; BlackRock; Wall Street Journal; Financial Times; Fondo Monetario Internazionale; Standard & Poor’s; Moody’s Corporation; Fitch Ratings; Algebris Investments; BCE; Bankitalia; Mediobanca; Confindustria; Confcommercio; Confagricoltura; Gruppo Salini-Impregilo…
George Soros; John R. Phillips (ambasciatore USA in Italia); Angela Merkel; Wolfgang Schäuble; Jean Claude Juncker; Vincenzo Boccia; Luca Cordero di Montezemolo; Emma Marcegaglia; Sergio Marchionne; Luigi Abete (presidente BNL); Alessandro Garrone (vicepresidente del gruppo ERG); Carlo De Benedetti (82 anni); Fedele Confalonieri (79 anni)…
Giorgio Napolitano (91 anni); Romano Prodi (77 anni); Franco Bernabè; Elsa Fornero; Flavio Briatore; Denis Verdini; Angelino Alfano; Pier Ferdinando Casini; Maurizio Lupi; Vittorio Feltri…
Sicuramente ne…
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Talent Scout
Continua la farsa tutta capitolina dei bimbi cinque stelle all’Asilo Cretinetti, precocemente decotti sotto le radiazioni emanate dal “raggio magico” della fatina furba dei Parioli, direttamente paracaduta sul Campidoglio su lancio dello studio legale Sammarco & Previti che infatti adesso amministra la città per procura tramite la sua (ex?) associata, dopo aver utilizzato il Cottolengo a 5 stelle come un taxi da sfruttare per la sua corsa a “sindaca”.
Speculando sull’indignazione telecomandata a portata di clic, a
Roma il M5S avrebbe potuto far eleggere anche il Pulcino Pio. Invece ha preferito scegliere un’abile gattamorta che, esaurita la manfrina, pare sempre più legata a doppio filo con gli impresentabili arnesi riciclati dalle terrificanti esperienze Alemanno-Polverini, nonché ai salotti neri di quel ‘generone’ romano che prospera all’ombra delle cricche immobiliari, consorterie forensi, ed esclusivi circoli sportivi…
E così Virginia Raggi, provvisoriamente sindaca prima del commissariamento ormai prossimo, ha fregato (quasi) tutti; a…
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La giunta Raggi e l’innocenza perduta
Dal poco che trapela dalle “segrete stanze” del Movimento, i dimissionari pagano una “crisi di rigetto” che, fin dalla vittoria elettorale alle amministrative di giugno, sta avvelenando l’organismo pentastellato
SE ROMA è lo “stress test” che misura la capacità di governo del Movimento 5 Stelle, i segnali che arrivano dalla Capitale non sono confortanti per il Paese. Diciamo la verità, nessuno poteva pretendere che la giunta guidata da Virginia Raggi, in poco più di un mese, potesse ripulire la città eterna di tutti i suoi atavici mali: mafia e monnezza, buche e pantegane. Ma allo stesso modo nessuno poteva immaginare che il Campidoglio pentastellato, dopo appena settanta giorni, facesse saltare cinque poltrone in un colpo solo. E non poltrone qualsiasi. Un capo di gabinetto, i tre manager che guidano Atac e Ama (le due municipalizzate più disastrate d’Italia) e soprattutto un super-assessore al Bilancio che era il vero (e forse unico) fiore all’occhiello di questa giunta: quel Marcello Minenna, trasferito a forza dalla Consob, che aveva in mano il portafoglio e il patrimonio di Roma, gravato da un debito monstre di quasi 13 miliardi. Un fatto grave. Anche al di là delle ovvie invettive del Pd, che farebbe bene a non maramaldeggiare troppo sulla Capitale, visto che ha allegramente e colpevolmente contribuito a ridurla com’è.
Ma se persino Paola Taverna parla di “perdita gigante”, vuol dire che qualche ingranaggio più “strutturale”, nella macchina del potere pentastellato, si è rotto davvero. E se non piangessimo i morti di un terremoto vero, che ha distrutto vite e destini, dovremmo parlare di un sisma politico, che squassa il movimento e apre una faglia profonda proprio nel luogo simbolo in cui Grillo tenta di dimostrare quello che, finora, rimane indimostrabile e indimostrato: e cioè che il Movimento, elaborato il lutto di Gianroberto Casaleggio, è ormai entrato nell’età adulta, ed è ormai pronto a guidare l’Italia. Purtroppo, per un Paese ormai “tripolare” che avrebbe un urgente bisogno di alternative politiche tutte ugualmente credibili e spendibili, le cose non stanno affatto così. L’alternativa non esiste più a destra, perché tra le macerie del berlusconismo si vedono avanzare solo fantasmi. Ma non esiste ancora nei 5 Stelle, perché tra le “anime” del grillismo si vedono crescere solo miasmi. Cosa è successo, infatti, a Roma? E perché queste cinque dimissioni in un solo giorno sono inquietanti? Per due ragioni di fondo.
La prima ragione è di merito. Questa “rottura” multipla, che indebolisce drammaticamente una squadra già di per sé non eccelsa (almeno rispetto alle attese), non avviene su temi concreti, che riguardano la vita di tutti i giorni di quattro milioni di cittadini. Raineri o Minenna non se ne vanno perché non c’è accordo con la Raggi o con gli altri assessori su come risolvere il problema dei rifiuti, o su come rendere più efficiente il trasporto urbano, o sui lavori che sarebbero necessari se si accettasse la candidatura alle Olimpiadi. Dal poco che trapela dalle “segrete stanze” del Movimento (e già questa formula obbligata ne tradisce la vocazione originaria), i due dimissionari pagano una “crisi di rigetto” che, fin dalla vittoria elettorale alle amministrative di giugno, sta avvelenando l’organismo pentastellato. È in corso, dicono, un regolamento di conti: da una parte c’è la sindaca e i suoi fedelissimi, sempre più chiusi dentro al “raggio magico”, dall’altra ci sono gli “esterni” e i “tecnici”, sempre più esclusi e scontenti. Perché litigano? I cittadini romani, e noi tutti, vorremmo saperlo.
E invece non lo sappiamo. Perché nessuno spiega niente. E quello che vediamo e abbiamo visto finora non è un dibattito serrato e concreto su come si abbatte il debito, su come si riduce l’addizionale Irpef, su come si migliora il decoro urbano, ma l’ennesima, estenuante querelle sulle nomine e sugli stipendi degli amministratori. Come avrebbero fatto i dorotei o i craxiani di una volta. E com’era già successo agli stessi parlamentari grillini dopo il successo elettorale del 2013, quando sprecarono il primo anno a Montecitorio non a illustrare agli italiani come si finanzia davvero il reddito di cittadinanza, ma a sbranarsi tra loro sugli scontrini e le ricevute del ristorante.
E qui emerge la seconda ragione, che invece è di metodo. I Cinquestelle hanno avuto un merito oggettivo: hanno cambiato i modi e i tempi della comunicazione politica, anche attraverso l’uso “orizzontale” della Rete. Ora, quello che è appena accaduto nella Capitale ha una portata politica evidente. E dunque dovrebbe essere raccontato con assoluta chiarezza all’opinione pubblica. Non può bastare un post sulla pagina Facebook della sindaca, pubblicato alle quattro del mattino, in cui la Raggi si limita a dare una lettura banalmente burocratica delle dimissioni del suo capo di gabinetto, senza dire nulla di quelle del super assessore al Bilancio. Salvo poi parlare del dovere della “trasparenza”.
Gestito così, il Campidoglio non è una casa di vetro. Diventa una corte di Bisanzio. Un concentrato di veleni e di arcana imperii di cui nessuno sa e capisce nulla. Una guerriglia sotterranea tra un maxi e un mini direttorio, un conflitto permanente tra correnti palesi e occulte, che in qualche caso fanno rimpiangere i partiti vecchi e rissosi della Prima Repubblica.
Dov’è finita la “diversità” pentastellata? Dove sono finite l'”innocenza” e la “purezza” del Movimento, il “non partito” con il “non statuto”, che nasce e cresce dal basso e che in virtù dei sacri principi fondativi (“uno vale uno”, “i leader non esistono”) rivoluziona la politica e rifonda la democrazia? Per adesso, il “grillismo reale” precipita in un vortice di impreparazione e di presunzione. Si avvita in una spirale di velleitarismi e di personalismi. Ribellarsi alle élite è giusto. E il Movimento, con i suoi quasi 9 milioni di elettori alle politiche del 2013, ha dato corpo esattamente a questa legittima istanza di “ribellione democratica”. Ma governare è un’altra cosa. Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista lo sanno bene. Quando in gioco c’è non solo il Campidoglio, ma in prospettiva addirittura Palazzo Chigi, il motto “meglio inesperti che disonesti”, per quanto rassicurante, non può più bastare.
Il governo dei giudici
La Morticia surrogata della Famiglia Addams pentastellata
inizia a scoprire a sue spese che non basta riunire quaranta citrulli perdigiorno in una piazza a scandire o-ne-stà! per amministrare una città, affidandone poi la gestione e gli assessorati ad un pugno di magistrati contabili (superpagati al netto della retorica pauperista) e commercialisti, quasi tutti in trasferta retribuita da Milano. In pratica una prosecuzione 2.0 dell’amministrazione commissariata del prefetto F.P.Tronca, ma sotto l’immancabile supervisione della Casaleggio Associati. E non vanno sottovalutati gli sconcertanti apporti della catastrofica giunta Alemanno, alla quale il “Sistema Raggi” è assai più collaterale di quanto non si voglia ammettere… Meglio se pescati in quello straordinario parco di talenti, transitati per la ricca greppia dell’UNIRE di Franco Panzironi, a partire dallo “spermatozoo che fecondò il movimento” (sic!).
Che poi, esaurite le boutade e le fanfaronate (ultimo della serie è quell’Alessandro Di Battista che…
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